Dove va la scuola
Non
di rado incontro per strada i genitori dei miei ex alunni, che mi
fermano e mi raccontano soddisfatti che i loro figli si sono laureati, o
che stanno facendo una brillante carriera universitaria.
Sorrido e mi compiaccio, anche perché spesso anche a me sono riservati i complimenti di queste coppie contente per come i figli siano stati preparati ad affrontare il mondo esterno alla realtà liceale da tutti noi, loro docenti nel periodo turbolento dell'adolescenza.
Nel frattempo, prendo atto con tristezza, che i livelli della preparazione dei nostri attuali alunni scendono di anno in anno.
Diventando sempre più superficiali, e disinteressati alla scuola, i nostri liceali studiano il minimo indispensabile, tenendo a memoria elementi sempre più scarni dei contenuti di apprendimento. Esprimendoli, per giunta, in un italiano discutibile e rozzo.
Diventando sempre più superficiali, e disinteressati alla scuola, i nostri liceali studiano il minimo indispensabile, tenendo a memoria elementi sempre più scarni dei contenuti di apprendimento. Esprimendoli, per giunta, in un italiano discutibile e rozzo.
Mi
chiedo dove stia andando la scuola italiana, che pretende di essere
competitiva in Europa mentre taglia fondi e programmi alla cultura. Dove
i genitori, convocati per discutere dell'andamento didattico
disciplinare, si mettono sistematicamente sulla difensiva, a sostegno
dell'intelligenza del loro figliolo (che nessuno vuole certamente
mettere in dubbio), per chiarire che sarà capace di recuperare al più
presto una grave insufficienza. Cosa che, puntualmente, poi non è.
Non
nascondo di amare il mio lavoro, quando i giovani sono interessati al
dialogo, al confronto, all'impegno serio e appassionato.
Allo
stesso modo in cui sogno di cambiarlo al più presto, quando il loro
disinteresse mi porta ad interrogarmi su tutto, mettendo in discussione
modi e metodi da me adottati per far capire loro che non esiste altro
mezzo per essere liberi, se non quello di studiare e di formarsi adesso
che hanno tutta la vita davanti.
Alcune volte, però, mi sembra di essere io più giovane di loro, che sono già del tutto disillusi di fronte al futuro.
La
bellezza dell'insegnamento è che non ci sono ricette facili. Tutto si
rimette in gioco in ogni istante, in ogni momento, in ogni ora di
lezione.
Ed è come se il mondo rinascesse ogni volta, di nuovo.
E
tra le varie dimenticanze dei miei alunni, che "non ricordano" quasi
nulla di quello che devono riferire nel corso delle verifiche, spero non
si finisca per dimenticare anche l'italiano, che rimane, per me, la più
bella lingua del mondo.
Eppure, ahimé, nemmeno di questo pare i nostri giovani abbiano più memoria!
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